sabato 22 settembre 2012

L’ultima provocazione di Benetton: campagna sociale o sfruttamento?



Puntuale come ogni stagione ecco l’ennesima provocazione di Benetton, che esce però con la firma della Fondazione Unhate creata dalla marca veneta. Questa volta il focus è sullo scottante tema del lavoro trattato attraverso un concorso intitolato Disoccupato dell’anno che vuole raccogliere progetti da giovani under 30 senza lavoro fisso e premiare i 100 migliori.
Provocazione o lodevole iniziativa?
A prima vista sembra l’ennesima attività di Corporate Social Responsibility che mira ad aiutare giovani non inseriti nel mondo del lavoro. Ma è tutto oro quello che luccica? Proviamo a mettere insieme alcune informazioni raccolte dai diversi articoli usciti sull’ultima iniziativa di Benetton: La campagna verrà lanciata in 35 nazioni con il supporto di MTV e di altri media digitali con un investimento di 20 milioni di euro.
Cosa promette il concorso? di premiare i 100 migliori progetti (meno di 3 per ogni nazione coinvolta) con 5.000 euro l’uno. Totale a sostegno dell’iniziativa sociale: 500.000 euro, ovvero il 2,5% dell’investimento usato per pianificare la campagna. Probabilmente lo stesso investimento usato per la produzione degli scatti (a proposito: come sono belli, ben assortiti, ben vestiti e ben pettinati i disoccupati protagonisti. Saranno mica modelli?). E qui suona il primo campanello di allarme: è la comunicazione al servizio del progetto oppure il progetto è la piccola foglia di fico che serve a giustificare la manovra di comunicazione?
Inoltre chiunque segue startup o progetti sa bene che con 5.000 euro ben difficilmente si mette in moto qualcosa che sia in grado di camminare con le proprie gambe e generare occupazione almeno per il suo fondatore. Quindi? Gli Unemployee of the Year che vinceranno il concorso grazie al proprio progetto quasi sicuramente non riusciranno a realizzarlo, e resteranno felici Unemployee con un bonus di 5.000 euro. Quindi dov è la finalità sociale? E qui suona il secondo campanello di allarme: se la finalità è quella di creare “modalità intelligenti di affrontare il tema della disoccupazione” … beh con 5.000 euro è dura pensare che i progetti, anche se geniali, restino poco più di lettera morta.
A questo punto i casi sono due: o alla Fondazione Unhate hanno clamorosamente sbagliato a fare i conti e hanno invertito gli investimenti, oppure siamo di fronte a una cinica manovra di comunicazione che, facendo leva su un tema scottante e reale come la disoccupazione giovanile, cerca di creare cassa di risonanza a favore del marchio. Etico? Corretto? Rispettoso dei milioni di persone che quotidianamente vivono un disagio sociale? Il dibattito, sui media e sul web è già partito.
E voi? cosa ne pensate?
Alessandro Santambrogio - Liquid Communication

martedì 18 settembre 2012

Tre passi per una content strategy efficace



Negli ultimi post abbiamo sottolineato come una strategia di coinvolgimento degli utenti debba essere basata su contenuti in grado di stimolare l’interesse degli interlocutori e spingerli a interagire e a condividere.
In sostanza occorre innescare un circolo virtuoso che si può riassumere in: farsi trovare, farsi leggere, farsi condividere, coinvolgere e, in ultima analisi, generare qualche forma di ritorno (intangibile o tangibile come una vendita).
Questi obiettivi non si raggiungono per caso, ma strutturando una content strategy realmente efficace.

A cosa serve una Content Strategy?

Semplice: a essere trovati prima, a far comprendere meglio cosa potete fare per i vostri interlocutori, a fare in modo che si parli di voi rafforzando l’immagine e la reputazione aziendali.
Questo è tanto più vero sui canali digitali: i consumatori sono sempre più multimediali ed evoluti e iniziano la ricerca del prodotto sul web ben prima di arrivare al punto vendita. Vincere quello che Google ha battezzato ZMOT (Zero Moment of Truth) significa ottenere un vantaggio competitivo nei riguardi della concorrenza.

Che cos è una Content Strategy?

Prima di partire, condividiamo cosa si intende per content strategy.
La Content Strategy definisce quali siano i contenuti di cui necessitano gli interlocutori aziendali (consumatori, distributori, fornitori, dipendenti, ecc.) lungo il processo di acquisto o il ciclo di vita del prodotto e come questi contenuti possano diventare fruibili in tutte le fasi del processo nel momento e nei luoghi in cui vengono ricercati.
E dove si trovano questi contenuti? Non è detto che vadano prodotti ex novo (almeno non tutti). Una volta mappate le esigenze di contenuti (es. come funziona? che benefici porta a chi la vende o la utilizza? quali sono le prestazioni rispetto alla concorrenza? come può migliorare la vita o l’esperienza di chi lo utilizza? A quale mondo valoriale garantisce l’accesso? ecc.) il primo passo è capire quali di questi siano già disponibili in azienda: cosa posso trovare dai diversi reparti? cosa dalle attività di comunicazione? cosa dalla rete vendita?
A questo punto avrò un’idea chiara di cosa ho a disposizione (spesso la situazione è dinamica con contenuti in evoluzione a seconda dello stadio di vita dell’azienda e dei suoi prodotti) e di cosa manca per soddisfare le esigenze. Potrò quindi mappare cosa posso utilizzare di esistente e cosa occorrerà produrre e quali messaggi dovrà contenere.

Come costruire una Content Strategy efficace?

Ma avere capito COSA comunicare non basta. Occorre anche scegliere COME. Questo è il punto cruciale per riuscire a ingaggiare realmente i propri interlocutori e a costruire relazioni di fiducia e rispetto reciproco. Ecco tre consigli:
1) Mettetevi nei panni del vostro interlocutore
Scordatevi di quello che, come azienda, pensate sia importante comunicare e mettetevi nei panni del vostro interlocutore. Chiedetevi come lui (o lei) può iniziare una ricerca su Internet che lo porterà in contatto con voi: da quali domande, da quali curiosità, da quali esigenze.
Per esempio se il vostro prodotto è la passata di pomodoro è molto più probabile che un consumatore cerchi la ricetta per il ragù piuttosto che googli il nome della vostra marca. Se producete vernici, non aspettatevi che un consumatore inserisca il nome del vostro prodotto, ma preparatevi a essere presenti quando cercherà “spugnato veneziano rosa” oppure “dipingere muro umido”. I vostri contenuti dovranno quindi rispecchiare le modalità con cui il vostro target si relaziona alla categoria merceologica (e la ricerca sul web).
Ricordatevi anche che le ultime versioni dell’algoritmo di Google tendono proprio a premiare contenuti che siano rilevanti e generino interazioni.
2) Create un contenuto che soddisfi un’esigenza
Che sia un’esigenza funzionale (la ricetta del ragù) o emozionale (sentirsi parte di un mondo come quello carico di emozioni e adrenalina di Red Bull) il contenuto deve centrare l’obiettivo in modo facile da fruire, semplice e chiaro.
Ma soprattutto deve farlo in modo distintivo (cosa potete comunicare che sia nico del vostro prodotto?) in modo da rafforzare l’immagine della vostra marca e creare qualcosa di diverso dai concorrenti: il vostro ingrediente segreto per il ragù!
3) Mettete in evidenza i benefici
Fin qui l’obiettivo è stato quello di agganciare l’interlocutore sulla base dei suoi bisogni, senza mettere l’azienda in primo piano. Ma non scordiamoci che la nostra attività di comunicazione deve avere anche un ritorno commerciale. Come fare mantenendo l’interlocutore al centro dell’attenzione?
- Parlando di quello che il prodotto potrà fare per lui: una ricetta semplice e gustosa per fare bella figura durante una cena intima; la soluzione semplice per liberarsi una volta per tutte di quelle macchie di umido che continuano a comparire sul muro; un evento nella sua città per sentirsi parte del mondo della marca. Usate commenti di altri interlocutori che hanno sperimentato i vantaggi, permettetegli di confrontare in modo trasparente il vostro prodotto con quelli della concorrenza. Raccontate quello che hanno bisogno di sapere sul vostro prodotto, non quello che voi volete dire di voi. Non vale solo per i prodotti. Il recente discorso di Bill Clinton alla Convention Democratica è un ottimo esempio di questo approccio.
- Costruendo un percorso: se nelle fasi iniziali dovete rispondere alle esigenze immediate del consumatore, man mano che la relazione evolve assicuratevi che si renda conto di come il vostro prodotto possa soddisfare le sue esigenze meglio di altri, di come possa apportare un miglioramento alla sua vita o esperienza, di come approfondire la conoscenza (specifiche, prezzo, ecc.) e di dove possa acquistarlo.
E non dimenticatevi di chiedere i feedback e di valorizzare chi ve li fornisce ringraziandolo, qualunque sia l’esito del feedback..

lunedì 10 settembre 2012

COMUNICATO STAMPA NAZIONALE CON FOTO: ECCO LE 9 MISS ITALIANE UNDER 170 CM DI ALTEZZA. IL TITOLO ANDRA' AD UNA DI LORO IL 15 SETTEMBRE.


Sono selezionatissime, italianissime e non temono confronti di alcun tipo.
Le 9 miss rimaste in gara dopo una selezione partita con 199 iscritte e 25 prescelte, ormai sono pronte per le battute finali del contest MissPoP170, unica occasione europea di mettersi al servizio della moda e dello spettacolo per le miss under 170 cm di altezza.
MissPoP170 è l'unico contest europeo riservato a queste bellezze italiane che, altrimenti, non potrebbero gareggiare ne essere prese in considerazione nel grande e crudele mondo della moda e dello spettacolo.
Sono 9 ragazze provenienti da tutta Italia e nello specifico andiamo a conoscerle una per una nella sequenza d'uscita che le vedrà protagoniste il prossimo 15 settembre alle ore 21.15 presso l'hotel Villa Regina per la notte della finalissima nazionale.
La numero 1 Irene Galavotti, 19 anni di San Carlo, Ferrara, segue la 2 Linda Facchini, 16 anni di Bologna, la 3 Patrizia Montanari, 30 anni di Ferrara, la 4 Serena Farnè 16 anni di Ferrara, la 5 Giulia Sacchetti 19 anni di Frosinone, la 6 Laura Cortella 19 anni di Vercelli, la 7 Brigitte Berger 33 anni di Bolzano, la 8 Camilla Pasqualon 17 anni di Rovigo e la numero 9 Chiara Cavenaghi 19 anni di Lecco.
L'occasione per conoscerle personalmente per il pubblico, il prossimo venerdì 14 settembre alle ore 12 durante la conferenza stampa in Palazzo Comunale nel Salone Zanotti ed in piazza TrentoTrieste per le foto di rito subito dopo la conferenza, poi rigorosa stretta di tempo e via alle prove generali per la finalissima.
Le nove miss saranno quindi protagoniste in uno show costruito all'americana con filmati, danza, sfilate coreografate ed una inusuale asta artistica di beneficenza dove verranno assegnate due opere della prof.ssa Raffaela Quaiotti, docente e pittrice ben conosciuta nel mondo delle opere di alto livello. L'assegnazione di una delle fasce principali, MissWeb&Media, avverrà durante la serata, ma sarà determinata dal voto del popolo web che resterà aperto fino al 12 settembre alle ore 00.00 sulla pagina facebook.com/missspop170 (scritto con 3 esse).
La serata è ad ingresso gratuito ed è possibile prenotare i posti telefonando allo 0532.790120 oppure inviando una email ad icom@icom-noprofit.it.
Tutte le informazioni sul sito ufficiale www.misspop170.it.

in foto le 9 miss concorrenti in sequenza scritta nell'articolo.
iCom ONP
Uff. Stampa e Comunicazione
www.icom-noprofit.it
0532.790120

9 lezioni dal discorso di Clinton



Il discorso di Clinton alla recente Convention democratica potrà essere o meno un punto di svolta nella campagna elettorale in corso. Ma sicuramente resterà negli annali come uno dei migliori casi di comunicazione politica. Che non mancherà di diventare anche uno dei cavalli di battaglia nella comunicazione digitale attraverso la condivisione dei video.
Ma non sono solo i politici che possono trarre insegnamento da questo discorso che è stato accuratamente costruito per catturare e coinvolgere il più vasto pubblico possibile. E’ quindi un discorso che andrebbe attentamente studiato anche da chi fa comunicazione aziendale.
Costruire il contesto: l’inizio dell’intervento sembra direttamente ispirato al discorso di Marco Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare: senza nominare Obama, Clinton traccia in modo molto veloce ma efficace, un quadro della situazione economica e politica che Obama si è trovato ad affrontare oltre che della figura del Presidente. Il tutto condito con ironia e autoironia (“voglio nominare l’uomo che ha avuto il buonsenso di sposare Michelle Obama”) e momenti emozionali – come il cenno a chi non ha lavoro e cerca di nutrire i propri figli – ma fortemente icastici e legati alla realtà. In soli tre minuti, Clinton traccia un quadro sintetico ed efficace di cosa era l’America prima di Obama, di quali sfide ha affrontato con successo e di quelle che affronterà in futuro.
Rendere vivi numeri e fatti: il discorso è ricco di dati. Sempre usati per costruire un contesto o per provarlo. Nel suo discorso i numeri prendono vita, diventano persone reali, valori, obiettivi raggiunti e vengono personalizzati. Quando parla del numero di posti di lavoro creati (dal minuto 4’52″ al 6’24″) la partenza con i dati diventa rapidamente un discorso sui valori. Quando il discorso arriva alla riforma sanitaria (da 28’15″ a 32’40″) i dati si trasformano in anziani, e bambini, non generici, ma i nostri figli e i nostri genitori o nonni. Essere documentati resta fondamentale, ma lo è altrettanto riuscire a trasformare i numeri in volti, storie, valori, in grado di emozionare e coinvolgere.
Il valore dell’Onestà intellettuale: un momento importante del discorso (da 6’40″ a 8’50″) è dedicato al rispetto dell’avversario e all’importanza di lavorare insieme su progetti e valori condivisi. Clinton sottolinea come sia onorato di avere lavorato insieme a Presidenti Repubblicani su progetti sociali o in occasione di calamità naturali. We’re in this together e l’obiettivo non è quello di contrapporsi costantemente all’avversario politico ma di risolvere problemi. Clinton torna su questo tema più volte, come quando (verso il 23′) parla di come tutta l’industria automobilistica americana abbia appoggiato il piano di salvataggio di Chrysler perché ha contribuito a salvare anche l’indotto da cui dipendevano tutte le case automobilistiche per le parti. Riconoscere i meriti di avversari o concorrenti non è mai un segno di debolezza ma rivela la forza di sapere seguire i propri principi e valori al di la delle sponde su cui ci si trova. Clinton esalta il valore della cooperazione sintetizzando il fatto in una frase: “la cooperazione è buona perché nessuno ha sempre ragione e un orologio rotto è esatto due volte al giorno”.
Mettere le persone al centro: Clinton non parla di politica, di leader, di avversari, di programmi astratti. Parla delle persone, delle difficoltà che stanno attraversando, di come potrà essere il futuro per loro e i loro figli e di come le decisioni politiche plasmeranno il loro futuro. Non parla del “prodotto” dei Democratici, il programma, ma dei benefici che l’applicazione di quel prodotto porterà alle persone. Porta la politica dall’aula del Congresso alla casa dell’operaio di Detroit, mostrandogli quale sarà l’effetto concreto delle decisioni politiche sulla sua vita.
Essere Focalizzati: il discorso è diviso in brevi blocchi, di circa tre minuti. Mai troppo lunghi per non perdere l’attenzione del pubblico, mai troppo brevi per riuscire ad articolare gli argomenti usando razionalità ed emozione. Ogni blocco ha una tematica precisa, una Unique Selling Proposition, per dirla in termini pubblicitari, molto chiara. Non c’è praticamente consequenzialità e il discorso può essere smontato secondo questi blocchi (per facilità di diffusione, condivisione, trasmissione televisiva, ecc.) senza che ciascuno di essi perda di forza e significato. Come un insieme di passi che, piano piano, costruisce e rafforza il brand Obama e ciò che vuole rappresentare.
Semplicità: tutto il discorso è costruito con un vocabolario semplice, frasi brevi e dirette, e la capacità di sintetizzare concetti complessi in poche parole, di trasformare la macroeconomia in storie in cui tutti si possono riconoscere. Il blocco centrale (da 17″ a 20″ circa) è ricco di questi esempi. Dal laureato di Harvard alla casalinga del MidWest tutti sono in grado di seguirlo e comprenderlo.
Rispetto per chi ascolta: il discorso di Clinton crea una serie di alternative. Mostra la strada percorsa da Obama e quello che sostengono i repubblicani e tira le somme. E’ quasi come consultare un comparatore di prezzi su Internet: si guardano le caratteristiche, vantaggi e svantaggi di ogni prodotto, ma la scelta finale resta al compratore. Allo stesso modo Clinton mostra i due mondi possibili, quello di Obama e quello dei Repubblicani, e lascia aperta la scelta. Il richiamo finale (da 45’30″ a 46’05″) è proprio questo: una chiamata alla scelta della società in cui gli americani vivranno nei prossimi anni.
Narrare per coinvolgere: quello di Clinton non è un discorso, è un dialogo continuo. L’atteggiamento non è quello di chi sta su un palco davanti a una platea, ma di chi sta in un salotto e parla a un gruppetto di amici. Ci sono momenti seri e battute, domande a cui il pubblico risponde, sottolineature per richiamare l’attenzione nei momenti importanti. Lo storytelling è disseminato in tutto il discorso: domande retoriche che introducono la narrazione, conclusioni fulminanti, affreschi sociali. “Let me tell you this”, “What if?”, “What would you do?” sono alcune delle domande che Clinton usa magistralmente per mantenere costantemente agganciato il suo pubblico, per farlo immaginare, per aiutarlo a visualizzare le alternative. Lo stile dialogico e narrativo porta come diretta conseguenza il coinvolgimento e la partecipazione perché ognuno può adattare il messaggio al proprio mondo.
La forza dell’ironia: Clinton non è leggero con i Repubblicani e con la descrizione dell’America che emergerà dalle loro scelte. Ma non utilizza mai la clava dell’assalto frontale e del discredito dell’avversario, bensì il fioretto dell’ironia. Si ride molto durante i 50 minuti del discorso, quasi ci trovassimo a Zelig invece che a una convention politica. L’ironia profusa da Clinton spezza il ritmo del discorso, scarica la tensione, rifocalizza l’attenzione della platea e, non ultimo, riduce a barzelletta le proposte politiche dell’avversario. Troppo spesso si dimentica che l’ironia è un potentissimo veicolo per trasmettere messaggi in modo efficace.
In conclusione, Clinton non costruisce un discorso politico, ma uno show in cui trasforma i punti chiave del programma e i successi dei primi quattro anni in un grande affresco di quello che sarà il futuro dell’America cucendo magistralmente insieme decine e decine di piccole storie. Non importa quanto vere, ma sicuramente in grado di permettere a ognuno di identificarsi, di immaginare e, perché no, di sognare.
Alessandro Santambrogio - Liquid Communication

Come guadagnare 1.300 miliardi con i Social Network | Aziende Collaborative



Si parla ormai da tempo di Enterprise 2.0, di aziende collaborative o sociali, di intelligenza collettiva e di nuovi modelli di management e leadership legati allo sviluppo di modalità di gestione partecipativa. Un recente rapporto di McKinsey Global Institute ha ora valutato l’impatto economico positivo legato alle nuove modalità di gestione: tra i 900 e i 1.300 miliardi di dollari con un aumento della produttività stimato tra il 20 e il 25% nei soli Stati Uniti.
La Social Economy sarà la prossima rivoluzione industriale? Le premesse sembrano essere positive. La velocità con cui i Social Network – sostanzialmente inesistenti fino a sette anni fa – si sono diffusi fino a raggiungere oltre un miliardo e mezzo di persone li ha fatti diventare non solo un fenomeno sociale, ma anche economico – basti pensare a come hanno influenzato il processo di acquisto dei consumatori – culturale – per il cambio di linguaggio e di modalità di condividere conoscenza – e politico – dalla campagna di Obama fino alle rivoluzioni arabe. Lasciare queste modalità fuori dalle aziende sarebbe non solo miope ma anche antieconomico. Il rapporto infatti cita come, nel 2011, il 72% delle aziende USA intervistate adottasse tecnologie sociali nella propria attività e il 90% di queste avesse visto benefici tangibili. Ma anche negli Stati Uniti la percentuale cala drammaticamente quando si passa a esaminare le Piccole e Medie Imprese: solo il 31% usa tecnologie sociali.
Se l’80% della popolazione online è connessa con qualche Social Network o tecnologia sociale (es. blog, forum, ecc.) solo il 3% delle aziende viene indicato dallo studio come fully networked, ovvero in grado di ottenere benefici sostanziali attraverso la connessione con tutte le parti dell’organizzazione, i consumatori e i partner esterni.

Valore e Tecnologie Sociali

Quali sono le tecnologie sociali, e le applicazioni insite in esse, che possono essere utilizzate dai consumatori e dalle imprese? Il report ne fa una efficace sintesi in questa immagine:

Ma attraverso quali meccanismi le tecnologie sociali riescono a creare valore? Lo studio ha analizzato quattro settori industriali – beni di consumo, servizi finanziari, servizi professionali, manifatturiero avanzato – che complessivamente generano il 20% del valore totale della produzione americana, e ha identificato 10 leve attraverso cui le tecnologie sociali possono generare valore per le aziende. Quattro gli ambiti organizzativi aziendali principalmente interessati: ricerca e sviluppo di prodotti, operations e distribuzione, marketing e vendite, servizio al cliente.
McKinsey sintetizza tutto in questa chart:

L’area Marketing, Vendite e Post vendita emerge come quella con il maggiore potenziale economico, con 500 miliardi di dollari di creazione di valore, seguita dallo Sviluppo di Prodotto e Operations con 345 miliardi e 230 miliardi dal miglioramento delle attività di supporto al business. L’aspetto più rilevante è che due terzi di questo valore proviene dal miglioramento della comunicazione, della collaborazione e del coordinamento dentro e fuori l’azienda. Avviare processi conversativi non solo non è dannoso per le aziende – contrariamente a quanto molte ancora pensano – ma è anche economicamente conveniente vantaggioso.

Quali aziende possono raccogliere i maggiori benefici?

Lo studio si spinge anche oltre i settori analizzati e identifica le tipologie di aziende che possono beneficiare maggiormente dall’introduzione di tecnologie sociali in tutta la filiera, interna ed esterna: sono le aziende con
- una elevata percentuale di lavoratori della conoscenza o con un’alta incidenza di capitale intellettuale
- una forte dipendenza dalla percezione del consumatore e del riconoscimento del brand
- la necessità di preservare una reputazione molto positiva per rafforzare la credibilità e la fiducia dei consumatori
- distribuzione di prodotti e servizi anche (o solo) attraverso il canale digitale
- Un’offerta di prodotti o servizi esperienziale (es. hotel) o ispirazionale (es. sport drink)
Lo studio si spinge ad affermare che, nel caso di aziende di largo consumo, l’utilizzo di tecnologie sociali lungo tutta la catena del valore può aumentare i margini anche del 60%. Una cifra estremamente allettante in questi tempi di crisi.
La ricerca sottolinea però un aspetto fondamentale: non è sufficiente spostare i budget dai canali tradizionali ai Social Media per raggiungere questi risultati ma occorre creare programmi articolati e ben strutturati che, spesso, coinvolgono online e offline.

Per chi creano valore le tecnologie sociali?

L’applicazione delle nuove tecnologie può portare benefici a entrambi i principali attori della filiera, ovvero consumatori e aziende.
Una parte considerevole del valore creato (la cifra di 900 – 1.300 miliardi di dollari) dovrebbe essere a beneficio dei consumatori sotto forma di prodotti migliori e più efficienti, prezzi più bassi, servizi migliori, migliore risposta ai bisogni. Anche la condivisione all’interno delle community può portare a vantaggi considerevoli come la possibilità di condividere esperienze, recensioni, giudizi e commenti.
Ma anche le aziende possono migliorare la produttività del 20-25%. Come? Innanzitutto migliorando il processo di comunicazione spostandolo dalle modalità one-to-one a one-to-many in modo che chiunque possa essere interessato o coinvolto in una comunicazione, possa restare al corrente dei contenuti rilevanti. Oggi molte conoscenze aziendali – sottolinea sempre il rapporto – sono chiuse nelle caselle email e questo genera inefficienze e perdite di tempo nel reperire le informazioni. L’utilizo di tecnologie sociali potrebbe ridurre l’utilizzo di email del 25% recuperando il 7/8% di produttività, così come il tempo speso nelle ricerche di informazioni potrebbe essere considerevolmente ridotto, recuperando un ulteriore 6%.
Ma l’investimento in nuove tecnologie deve essere accompagnato anche da un cambio nelle metodologie di management che devono aprirsi ad approcci più dialogici.

Un cambiamento di mentalità nel management

Oggi sembra proprio essere il top management il principale ostacolo al cambiamento e alla transizione verso nuove forme di management e di leadership.
Secondo una recente ricerca, sono solo 20 gli amministratori delegati delle 500 aziende più importanti (Fortune 500) ad avere account sui social network. Ultimo in ordine di tempo, Larry Elliston, di Oracle (colosso della tecnologia) che ha emesso il primo tweet lo scorso 6 giugno. E da allora non ha più twittato.
L’adozione di tecnologie sociali richiede un profondo cambio di mentalità all’interno delle aziende. Non è sufficiente, come sottolinea anche il rapporto, aprire un account, ma serve ripensare la struttura aziendale, i processi, le relazioni interne ed esterne in chiave collaborativa. E’ chiaro che, un cambiamento di una simile portata, non può essere compiuto senza il pieno impegno del top management.
Ma, dopo questo rapporto, è caduto anche l’ultimo alibi: le tecnologie sociali servono a creare valore.
Alessandro Santambrogio - Liquid Communication
Dati registrati dal 15/04/2011