martedì 31 gennaio 2012

La paranoia uccide le conversazioni. Ma la mancanza di conversazioni uccide le aziende


Sembra scritto oggi, anzi domani, tenendo conto di quante aziende debbano ancora comprendere come e perché sia importante costruire una relazione con i propri clienti. Ma anche con i propri dipendenti.
E invece era il 1999 quando un piccolo drappello di comunicatori – Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberger – redasse il Cluetrain Manifesto, composto da 95 tesi sulla falsariga del manifesto di Martin Lutero che diede avvio alla Riforma, destinato a diventare uno dei documenti fondanti del web.
Già … sono passati tredici anni da quel manifesto, scritto agli albori dell’era internettiana, ma così visionario da essere ancora oggi attuale, anzi, ancora visionario e, forse, futuribile, magari più di quei romanzi di Philip K. Dick che, più o meno, si sono però avverati.
Ma cosa diceva nel 1999 di così visionario questo manifesto? Innanzitutto si apriva con una dichiarazione: “I mercati interconnessi in rete cominciano a organizzarsi da soli molto più rapidamente delle aziende che tradizionalmente li rifornivano. Grazie al web i mercati diventano più informati, più intelligenti e più esigenti rispetto alle qualità che, invece, mancano alla maggior parte delle aziende”.
E poi, via con le tesi.

Tesi 2: I mercati sono fatti di esseri umani, non di settori demografici

Tesi 7: Gli hyperlink sovvertono la gerarchia

Tesi 12: Non ci sono segreti. I mercati in rete conoscono i prodotti meglio delle stesse aziende. E se una cosa è buona o cattiva, lo dicono comunque a tutti.

Tesi 14: Le aziende non parlano con la stessa voce di queste nuove conversazioni. Quando parlano al loro pubblico online, la loro voce suona vuota, piatta, letteralmente inumana.
Profezie, queste, che si sono avverate. Oggi nel marketing trionfa l’individuo (anche se non tutte le aziende hanno compreso esattamente cosa voglia dire) e i Social Network hanno ampiamente superato in credibilità la comunicazione aziendale ufficiale, che spesso continua a parlare con una voce vuota e piatta.
Ma oltre alle profezie ci sono anche giudizi graffianti sull’atteggiamento delle aziende:

Tesi 21: Le aziende dovrebbero rilassarsi e prendersi meno sul serio. Hanno bisogno di trovare un po’ di senso dell’umorismo.

Tesi 23: Le aziende che cercano di “posizionarsi” devono prendere una posizione. Idealmente, su qualcosa che interessi davvero il loro mercato.
o visioni profetiche sui nuovi rapporti di forza tra consumatori e aziende:

Tesi 30: La fedeltà a una marca è la versione aziendale della coppia fedele, ma la rottura è inevitabile ed è in arrivo. Poiché sono in rete, i mercati intelligenti sono in grado di rinegoziare la relazione con enorme rapidità.
e l’anticipazione del ruolo sociale delle aziende:
Tesi 34: Per parlare con voce umana, le aziende devono condividere i problemi della propria comunità.

Tesi 35: Ma prima, devono appartenere a una comunità.
Dove il Manifesto sembra essere più lontano dal raggiungimento degli obiettivi è dove le tesi lanciano uno sguardo all’interno delle organizzazioni:

Tesi 42: Come per i mercati in rete, le persone si parlano direttamente anche dentro l’azienda – e non proprio di regole e regolamenti, direttive aziendali, obiettivi di profitto.
Tesi 45: Le intranet emanano noia. Le migliori sono quelle costruite dal basso da individui convinti e motivati che cooperano per costruire qualcosa di molto più valido: una conversazione aziendale in rete.

Tesi 50: Oggi, l’organigramma è fatto di connessioni, non di gerarchie. Il rispetto per la conoscenza reale vince su quello per l’autorità astratta.
E se oggi il contrasto fra le modalità di gestione tra la comunicazione esterna e interna da parte della maggior parte delle aziende diventa sempre più stridente e la leadership si svuota del proprio ruolo, è proprio la capacità delle aziende a guardarsi dentro e ad adattarsi ai nuovi scenari che appare in tutta la sua sconvolgente lentezza e anacronismo. Nella sua incapacità di tessere conversazioni anziché connettere per creare storie.
Nel 1999 il Manifesto anticipava anche tutto il fenomeno della co-generazione e del crowdsourcing, che avrebbe iniziato a diventare realtà solo un decennio dopo:

Tesi 64: Vogliamo accedere alle vostre informazioni, ai vostri progetti, alle vostre strategie, ai vostri migliori cervelli, alle vostre vere conoscenze. Non ci accontentiamo delle vostre brochures a 4 colori, né dei vostri siti Internet sovraccarichi di bella grafica ma senza alcuna sostanza.

Tesi 76: Abbiamo qualche idea anche per voi: alcuni nuovi strumenti, alcuni nuovi servizi. Roba che pagheremmo volentieri. Avete un minuto?
L’ultima parte è molto centrata su quello che, in un altro post, ho chiamato “Essere Comunicazione”:

Tesi 83: Vogliamo che prendiate sul serio 50 milioni di noi almeno quanto prendete sul serio un solo reporter del Wall Street Journal.

Tesi 85: Quando abbiamo delle domande, ci cerchiamo l’un l’altro per le risposte. Se non esercitaste un tale controllo sulle “vostre persone”, potrebbero essere anche loro tra le persone a cui ci rivolgiamo.

Tesi 86: Quando non siamo occupati a fare il vostro “mercato target”, molti di noi sono le vostre persone. Preferiamo chiacchierare online con gli amici che guardare l’orologio. Questo farebbe conoscere il vostro nome molto di più del vostro sito internet da un milione di dollari. Ma siete voi a dirci che è la Divisione Marketing che deve parlare al mercato.
La chiusura delle tesi è quasi profetica in merito alla convergenza tra comunicazione esterna e interna;

Tesi 93: Siamo dentro e fuori le aziende. I confini delle nostre conversazioni oggi sembrano il Muro di Berlino, ma in realtà sono solo una seccatura. Sappiamo che stanno crollando. Lavoreremo da entrambe i lati per abbatterli.

Tesi 95: Ci stiamo svegliando e ci stiamo linkando. Stiamo a guardare, ma non ad aspettare.
Sono passati tredici anni dalla nascita del Manifesto. Il tempo per il mercato si è mosso alla velocità del web. Ma per molte aziende ha continuato a muoversi con la velocità delle lancette. Alcune di loro, anche grandi e potenti, si sono estinte o sono sull’orlo del baratro. Per altre c’è ancora tempo. A patto che sappiano leggere ciò che arriva dal passato per capire il futuro.


venerdì 27 gennaio 2012

CARNEVALE A KM 0! COLDIRETTI DI FERRARA SI METTE IN MASCHERA.


La festa anche in diretta radiofonica dalla Sicilia al Lazio sulle 100Radio.

Il periodo è propizio per le feste e per le bicchierate che da qui a fine febbraio caratterizzeranno il Carnevale.
Ma l'associazione iCom ONP di Ferrara, ha fatto molto di più: "CostumeCraze 80Fest", è forse la prima festa di Carnevale a Km0 che utilizza cioè i frutti della terra e della campagna circostante senza alcun tipo di importazione alimentare.
L'evento che si svolgerà il 10 febbraio presso il Teatro Verdi di PoRotto, sarà infatti un grande aperitivo cena in maschera con la collaborazione di CampagnaAmica, filiera italiana e ferrarese della Coldiretti di Ferrara per l'appunto. La collaborazione con la prestigiosa azienda agricola innovatrice nel settore dell'agricoltura localizzata, nasce proprio dall'esigenza di unire utile e dilettevole in un momento di contingenza economica che deve far valorizzare le attività locali. OrtoAmico infatti metterà a disposizione degli avventori del 10 febbraio, una fornitura di affettati doc ferraresi per il gusto ed il sollazzo del carnevale proposto da iCom.
"...questa è una prima iniziativa che la nostra associazione mette in campo per la valorizzazione del territorio, del turismo e della gastronomia locale, conosciuta e rispettata, ma spesso relegata solo alla ristorazione professionale...iCom sta studiando anche altri eventi per la prossima primavera con queste caratteristiche sempre sulla città...", ci racconta la dott.ssa Mariangela Fontana, presidente di iCom ONP che ha sede a Ferrara.
Per l'occasione il Teatro Verdi di PoRotto diventerà un DJSet anni 80 con la collaborazione di MusicMarketService che allestirà tutta la struttura luci e audio. Ma le iniziative per questo evento non si limitano alla festa, poichè tutta la serata sarà in diretta radiofonica con il circuito delle 100Radio dalla Sicilia al Lazio per mezzo della compagine concessa da RadioFlash di Catania.
Oltre all'evento innovativo iCom metterà in palio una AppleCard prepagata da 200 euro per il costume originale più bello della serata; un'occasione ghiotta anche per un divertimento sano e tradizionale.
Appuntamento aperitivo-cena il 10 febbraio dalle ore 19 in poi presso il TeatroVerdi di PoRotto ad ingresso libero. Per tutte le informazioni www.icom-noprofit.it.

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giovedì 26 gennaio 2012

Quando la leadership fa crack. Le storie di Nokia e Kodak


In un mio post precedente ho parlato di come gli attuali modelli di leadership si stiano mostrando inadatti a confrontarsi con una realtà sempre più complessa e rapidamente in evoluzione. Vorrei citare due casi, a mio avviso, esemplari di come due aziende leader nel proprio settore abbiano saputo anticipare i tempi al loro interno, ma la leadership del tempo abbia affossato le innovazioni non avendo saputo comprendere appieno dove il mercato stava andando.
Il primo caso è quello di Nokia che, attraverso una storia emblematica, in pochi anni è passato da leader mondiale della telefonia a una lotta strenua con quote di mercato in costante riduzione. Eppure per anni il management di Nokia aveva visto avanti. Lo aveva fatto quando, negli Anni Novanta, aveva trasformato una fabbrica di stivali di gomma, maschere antigas e cavi elettrici in un’azienda telco. Lo aveva fatto quando, nel 1997, aveva avviato il programma che avrebbe portato alla nascita del Communicator, il primo dispositivo che integrava il telefono con l’organizer.
E l’azienda aveva continuato a guardare avanti quando nel 2006 aveva sviluppato il primo telefono con touch screen e aveva anche ipotizzato la nascita di uno store online per vendere applicazioni. Vi ricorda qualcosa?
Eppure qui il meccanismo si inceppa. Il management, che fino ad allora aveva saputo guardare avanti, non ascolta i suggerimenti del dipartimento ricerca&sviluppo, non approfondisce e si culla sugli allori di una quota di mercato. In una parola non riconosce l’opportunità perché rifiuta di abbandonare gli schemi mentali costruiti in anni di successi, avuti proprio grazie a un’innovazione costante e anticipatrice.
Il resto è storia nota: nel 2007 Apple lancia l’iphone e, poco dopo, l’App Store, e da lì Nokia inizia a perdere quote di mercato e, fatto ancora più grave, l’immagine di innovatore e consumer friendly.
Perché tutto questo? con il successo l’azienda iniziò a essere governata in modo crescente da businessman, persone con estrazione finanziaria e poca cultura di prodotto e di evoluzione tecnologica. Le innovazioni non venivano più misurate sull’esigenza di creare qualcosa di nuovo per essere sempre un passo avanti, ma suglla base degli indici finanziari che, presumibilimente, avrebbero portato.
La seconda storia è quella di Kodak che, pochi giorni fa, ha presentato istanza di bancarotta.
Sembra quasi paradossale vederlo adesso, ma il colosso dell’immagine aveva inventato la prima fotocamera digitale nel 1975. All’epoca Kodak deteneva il 90% del mercato delle pellicole e l’85% del mercato delle macchine fotografiche. Avrebbe quindi avuto buon gioco nel lanciare una fotocamera digitale e guidare il mercato di sostituzione.
Ma la decisione fu differente: il management, sulla base dell’esperienza passata e della situazione attuale decise di chiudere la nuova fotocamera in un cassetto e perseguire il proprio core business: la pellicola.
A questa prima decisione errata ne sono seguite altre che hanno rapidamente portato Kodak dagli altari alla polvere.
Cosa insegnano queste due case history emblematiche? Che la leadership può sbagliare, anche clamorosamente. Che concentrare il potere delle decisioni nelle mani di poche persone – a volte di una sola – che giudicano sulla base della propria esperienza e dei propri parametri culturali può essere disastroso.
In entrambi i casi le soluzioni erano emerse, l’intelligenza collettiva dell’azienda o, almeno, di una parte di essa, aveva puntato nella direzione giusta solo per essere fermata dalla leadership.

mercoledì 25 gennaio 2012

COMUNICATO STAMPA NAZIONALE. ESCLUSIVA. DANTE SPINOTTI PREMIO SPECIALE ALLA CARRIERA DI ASC AGLI OSCAR 2012.


Chi non ha visto la magnificenza dell'"Ultimo dei Mohicani", oppure il più recente "X Man Scontro Finale", o ancora il grande Benigni in "Pinocchio" o le gesta delle "Cronache di Narnia"?
Chi pensate ci fosse dietro alla fotografia di questi capolavori del cinema americano e italiano?
Dante Spinotti. 

Dante Spinotti. Intervista esclusiva di Mariangela Fontana.
Friulano di nascita e lendinarese di adozione, scoprì casualmente il suo talento per la fotografia
quando da giovanissimo seguì lo zio nelle riprese di alcuni documentari in Kenia. La bellezza ed il talento cominciarono ad unire le loro strade, fondendosi nella mente di un ragazzo che crebbe nel segno del successo personale che contribuì al successo di pellicole ed attori che sono tutt'oggi il fiore all'occhiello di molte produzioni cinematografiche. Una fotografia ad una attrice del cinema d'epoca, fece la fortuna di Spinotti che, dal quel momento, venne sempre ingaggiato per realizzare nuove ed emozionanti scene del mondo cinematografico di successo. Lunghissima è la filmografia di Spinotti, con oltre 60 pellicole per le quali lui ha curato personalmente la direzione della fotografia, portanto al massimo livello l'evidenza degli attori e della produzione stessa. Il cinema è luce...la luce è cinema.
Spinotti non ama la notorietà, ma le sue "gesta fotografiche" parlano da sole e guardando i film dove lui ha diretto la fotografia, ci si rende conto immediatamente della capacità narrativa che i fotogrammi rendono allo spettatore.
Spinotti si racconta in una intervista esclusiva che sarà disponibile sul sito www.icom-noprofit.it curata da Mariangela Fontana per le testate giornalistiche televisive italiane.
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martedì 24 gennaio 2012

COME ANDRANNO I NOSTRI TITOLI IN BORSA?CHIEDILO A TWITTER…


E se le indicazioni migliori per effettuare i movimenti di Borsa arrivassero direttamente dai social media? L'interrogativo, nasce spontaneo dopo un articolo pubblicato qualche giorno fa sul sito che si occupa di Business della Bloomberg , che illustra come   una società specializzata in web analysis di San Francisco -la TopsyLabs –  abbia previsto attraverso l’attenta analisi dei post scritti dalla Netflix  (il gigante americano dei servizi di noleggio di Dvd online)nel luglio 2011 su twitter un crollo imminente delle azioni della società a Wall Street(che poi è realmente avvenuto nel autunno dello stesso anno)   in seguito alla decisione di dividere in due settori l’azienda.
Tale scoperta è divenuta poi un vero e proprio servizio che Topsy ha deciso di proporre ai suoi clienti con lo scopo di aiutare gli investitori a valutare nel breve-medio termine gli andamenti dei titoli in loro possesso.
L’obiettivo dell’azienda di San Francisco è di rendere fruibile a pieno regime questo servizio entro la fine del 2012 grazie anche ad un accordo siglato con Twitter che le permette di accedere integralmente ai post di tutti gli utenti registrati nella piattaforma.
Staremo a vedere cosa succederà anche perché se fossi in Topsy un’occhiatina ai post pubblicati su Facebook  gliela darei che ne dite?

Fonte :ilsole24ore.com

Otino La Palombara
Copywriter e Digital Pr

lunedì 23 gennaio 2012

Quale leadership per il futuro?


Oltre trent’anni di mistica della leadership e, per chi vive in azienda, centinaia di ore di corsi di formazione, ci hanno abituato a pensare che questa qualità sia fondamentale per il successo. I manager devono essere leader, leader si nasce o si diventa? e altri aforismi simili ci hanno fedelmente accompagnato mentre tutta l’attenzione veniva focalizzata sulla persona al comando.
Ma è ancora valido questo assioma? L’affondamento della Costa Concordia è solo il caso più recente di fallimento della leadership. Oggi, a guardarsi intorno, si fa veramente fatica a trovare leader di successo che reggano alla prova del tempo. Quasi nessun leader politico del G20 è riuscito a sopravvivere al primo mandato. Persino i più osannati – basti pensare a Obama – vengono rapidamente logorati. Anche i mega manager delle multinazionali cambiano spesso al ritmo delle porte girevoli dell’ingresso. D’altra parte numerosi imprenditori delle PMI – non potendo licenziare se stessi – portano le proprie imprese alla chiusura.
Quale scenario futuro ci aspetta? Quale modello di leadership possiamo ipotizzare?Potremo avere novelli JFK o Henri Ford o De Gasperi o Willy Brandt? O avremo bisogno di questo modello di leader? Quasi sicuramente no, perché il mondo è profondamente cambiato negli ultimi dieci anni.
Due sono i principali aspetti da considerare: la crescita esponenziale della complessità economica, politica, sociale e tecnologica e la democratizzazione della comunicazione garantita dalle tecnologie digitali.
La crescita della complessità, innescata dalla globalizzazione, ha moltiplicato le variabili togliendo qualsiasi certezza ai nessi di causalità: economie totalmente interconnesse, società più fluide e mobili, regole variabili a livello planetario aprono molteplicità di scelte impensabili fino a poco tempo fa. Per esempio, per le aziende italiane è più facile aprire stabilimenti dove il mercato del lavoro è più flessibile piuttosto che discutere sull’Art. 18 in Italia.
Ma la complessità, oltre alla moltiplicazione delle opportunità, ha portato anche la moltiplicazione delle incertezze. Se fino a venti o trent’anni fa un leader, politico o di azienda, poteva ragionevolmente padroneggiare le variabili chiave del proprio incarico, oggi è sempre più difficile. Per gestire un’azienda, grande o piccola che sia, non basta più conoscere il proprio prodotto e mercato ma occorre avere competenze di finanza, di tecnologia, di marketing e di molto altro.
Certo, le grandi aziende, come i governi, hanno – o dovrebbero avere – tutte queste competenze al proprio interno, ma è ancora il leader a plasmarne la strategia sulla base della propria visione, più o meno olistica e con modalità più o meno dirigiste. Il risultato è che, qualsiasi indicazione o consiglio viene comunque filtrato dal leader designato, che decide sulla base delle proprie competenze, esperienze e, fatto più importante, propensione al rischio e a seguire indicazioni di altri in territori che non conosce.
Il secondo aspetto rilevante è la democratizzazione della comunicazione consentito dalle tecnologie digitali e dai Social Network. Oggi il leader è nudo! Non ci sono più rendite di posizione o di status. Controllare e manipolare la comunicazione è diventato impossibile e l’approccio top down unidirezionale che ha creato e sostenuto molti leader nel passato non è più un modello replicabile. Le chiacchiere e le critiche, una volta limitate alla macchina del caffé, oggi hanno portata planetaria. Le primavere arabe hanno mostrato come anche stati in cui il controllo della comunicazione e dell’opinione era ritenuto ferreo, si sono sgretolati in poche settimane sulla spinta della libera circolazione delle informazioni.
L’autorevolezza – per tornare a un altro dei miti fondanti della leadership – non basta più. O meglio, il concetto di autorevolezza è diventato più articolato fino a includere anche etica, apertura al dialogo, capacità di ascolto, onestà, capacità di tenere fede alle promesse, trasparenza, umiltà. Essere leader autorevoli e mantenere questa autorevolezza nel tempo, oggi è estremamente più difficile di venti o trent’anni fa.
La rete ha cambiato i paradigmi sociali e organizzativi. Oggi i modelli vincenti sono quelli basati sulla collaborazione, sulla libera circolazione delle informazioni e sulle reti in cui non esiste un vero e proprio leader, bensì una leadership diffusa in cui le competenze e la credibilità acquisita determinano l’autorevolezza di una persona. In modo destrutturato e flessibile. Una stessa community può così avere più persone di riferimento a seconda delle necessità dei propri membri. E’ l’intelligenza collettiva espressa dalla community nel suo insieme a divenire l’elemento vincente. Sono le persone che dimostrano competenza, spirito di servizio e capacità relazionale a emergere come leader.
A dire il vero non è un modello nato con la Rete. Alcune società arcaiche, come i Boscimani, seguono da millenni questo schema: se la tribù deve andare a caccia, è la persona riconosciuta come più esperta a decidere come muoversi, ma se la tribù deve cercare l’acqua, sarà un’altra persona a guidarla, mentre lo spostamento del villaggio da un punto a un altro è gestito da un’altra persona ancora. Un modello vincente? Beh, i Boscimani esistono da migliaia di anni e non si sono estinti. Sembra un buon punto a favore.


Il concetto chiave, quindi, è divenuto quello della credibilità. Essere leader significa essere credibili, per la propria community di riferimento, rispetto al compito da svolgere. La credibilità, però, non necessariamente si estende a tutto lo scibile e altre persone saranno più credibili su altri compiti. Tante sfide da affrontare, tanti leader credibili per farlo. E’ una rivoluzione copernicana in cui le organizzazioni vincenti saranno sempre meno quelle che si affideranno a un leader globale e sempre più alla leadership diffusa, basata sulla credibilità dimostrata e riconosciuta. In grado quindi di attingere e ottimizzare l’intelligenza collettiva espressa dall’insieme.
Quindi come dovrà essere il leader del futuro? Non sarà più chi ha le risposte giuste, ma chi sa fare le domande giuste. Non più chi ha il know how, ma chi possiede il know who per capire quale sia la risorsa migliore da attivare e ascoltare a seconda del compito e degli obiettivi. Non più chi ha la voce più alta, ma chi ha le orecchie più aperte per cogliere segnali e suggerimenti.
La credibilità – sostituto dell’autorevolezza - deriverà sempre meno dall’ambito professionale e sempre più da quello relazionale, dalla capacità, quindi, non solo di mostrare competenza ma anche di fare da ponte, di connettere e facilitare e, soprattutto, di operare una sintesi efficace.
Il leader del futuro non sarà più una persona sola bensì una comunità di persone in grado di interagire a pari livello per identificare la soluzione più idonea, mettendo in campo le proprie competenze professionali e relazionali. Siamo pronti a questa sfida?

5 lezioni di vita aziendale …. con un sorriso


Proprio ieri ho ricevuto da un amico una mail con queste cinque storielle. Le ho trovate molto illuminanti e le voglio condividere con voi. Perché la vita in azienda può anche essere presa con un sorriso
Lezione n° 1
Un uomo va sotto la doccia subito dopo la moglie e nello stesso istante suonano al campanello di casa. La donna avvolge un asciugamano attorno al corpo, scende le scale e correndo va ad aprire la porta: è Giovanni, il vicino. Prima che lei possa dire qualcosa lui le dice: “ti do 800 Euro subito in contanti se fai cadere l’asciugamano!”
Riflette e in un attimo l’asciugamano cade per terra… Lui la guarda a fondo e le da la somma pattuita. Lei, un po’ sconvolta, ma feliceper la piccola fortuna guadagnata in un attimo risale in bagno. Ilmarito, ancora sotto la doccia le chiede chi fosse alla porta. Leirisponde: “era Giovanni”.
Il marito: “perfetto, ti ha restituito gli 800 euro che gli avevo prestato?”
Morale n° 1: Se lavorate in team, condividete sempre le informazioni!
Lezione n° 2
Al volante della sua macchina, un attempato sacerdote sta riaccompagnando una giovane monaca al convento. Il sacerdote non riesce a togliere lo sguardo dalle sue gambe accavallate.
All’improvviso poggia la mano sulla coscia sinistra della monaca. Lei lo guarda e gli dice: “Padre, si ricorda il salmo 129?” Il prete ritira subito la mano e si perde in mille scuse. Poco dopo, approfittando di un cambio di marcia, lascia che la sua mano sfiori la coscia della religiosa che imperterrita ripete: “Padre, si ricorda il salmo 129?”
Mortificato, ritira la mano, balbettando una scusa. Arrivati al convento, la monaca scende senza dire una parola. Il prete, preso dal rimorso dell’insano gesto si precipita sulla Bibbia alla ricerca del salmo 129.
“Salmo 129: andate avanti, sempre più in alto, troverete la gloria…”
Morale n° 2: Al lavoro, siate sempre ben informati!
Lezione n° 3
Un rappresentante, un impiegato e un direttore del personale escono dall’ufficio a mezzogiorno e vanno verso un ristorantino quando sopra una panca trovano una vecchia lampada ad olio. La strofinano e appare il genio della lampada.
“Generalmente esaudisco tre desideri, ma poiché siete tre, ne avrete uno ciascuno”. L’impiegato spinge gli altri e grida: “tocca a me, a me….Voglio stare su una spiaggia incontaminata delle Bahamas, sempre in vacanza, senza nessun pensiero che potrebbe disturbare la mia quiete”. Detto questo svanisce.
Il rappresentante grida: “a me, a me, tocca a me!!!! Voglio gustarmi un cocktail su una spiaggia di Tahiti con la donna dei miei sogni!” E svanisce.
Tocca a te, dice il genio, guardando il Direttore del personale. ”Voglio che dopo pranzo quei due tornino al lavoro!”
Morale n° 3: Lasciate sempre che sia il capo a parlare per primo!
Lezione n° 4
In classe la maestra si rivolge a Gianni e gli chiede: ‘Ci sono cinque uccelli appollaiati su un ramo. Se spari a uno degli uccelli, quanti ne rimangono?’
Gianni risponde: “Nessuno, perché con il rumore dello sparo voleranno via tutti”.
La maestra: “Beh, la risposta giusta era quattro, ma mi piace come ragioni”.
Allora Gianni dice “Posso farle io una domanda adesso?” La maestra: Va bene.
“Ci sono tre donne sedute su una panchina che mangiano il gelato. Una lo lecca delicatamente ai lati, la seconda lo ingoia tutto fino al cono, mentre la terza dà piccoli morsi in cima al gelato. Quale delle tre è sposata?” L’insegnante arrossisce e risponde: “Suppongo la seconda… quella che ingoia il gelato fino al cono”.
Gianni: “Beh, la risposta corretta era quella che porta la fede, ma… mi piace come ragiona”!!!
Morale n° 4: Lasciate che prevalga sempre la ragione.
Lezione n° 5
Un giorno, un non vedente era seduto sul gradino di un marciapiede con un cappello ai suoi piedi e un pezzo di cartone con su scritto: “Sono cieco, aiutatemi per favore”.
Un pubblicitario che passava di lì si fermò e notò che vi erano solo alcuni centesimi nel cappello. Si chinò e versò della moneta, poi, senza chiedere il permesso al cieco, prese il cartone, lo girò e vi scrisse sopra un’altra frase.
Al pomeriggio, il pubblicitario ripassò dal cieco e notò che il suo cappello era pieno di monete e di banconote. Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo e gli domandò se era stato lui che aveva scritto sul suo pezzo di cartone e soprattutto che cosa vi avesse annotato.
Il pubblicitario rispose: “Nulla che non sia vero, ho solamente riscritto la tua frase in un altro modo”. Sorrise e se ne andò.
Il non vedente non seppe mai che sul suo pezzo di cartone vi era scritto: ”Oggi è primavera e io non posso vederla”.
Morale n° 5: Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e vedrai che poi andrà meglio.

martedì 17 gennaio 2012

QUANDO IL TELELAVORO DIVENTA SOCIAL…


Lavorare a distanza è ormai entrato a pieno titolo tra le modalità di lavoro che un’azienda può utilizzare,tant’è che viene utilizzato a livello mondiale.
Tra i principali strumenti che di solito vengono utilizzati per chi lavora a distanza via web ci sono, oltre alle classiche e-mail:Google docs, Drop Box, Skype, e i gruppi Facebook.
Negli anni queste piattaforme si sono affinate, includendo sempre nuove applicazioni e permettendo una condivisione pressoché totale di tutti i tipi di contenuti digitali. Anche il proprio schermo, con Skype.
Ognuno ha però mantenuto la sua identità specifica. Su Google doc si condividono, editano e integrano tutti i software del pacchetto office; con Dropbox si trasferiscono file di grandi dimensioni; con Skype si parla e si trasferiscono documenti poco pesanti; con i gruppi Facebook si condividono update in tempo reale e si aprono discussioni, dibattiti e thread.
Questa varietà di “core business” ha determinato una conseguenza importante per il telelavoratore digitalizzato ovvero  creare una sorta di  piattoforma  multitasking per sfruttare al meglio questi strumenti.
Quindi facendo una sintesi sull’utilità di questi strumenti si può dire che questi software danno la possibilità di accedere ai propri documenti, file e programmi da ovunque nel mondo, riuscendo anche a condividerli in tempo reale, ed in alcuni casi anche a co-costruirli insieme ai propri colleghi in real time.
Questa ampia introduzione per dirvi che-trattandosi di strumenti utilizzati nel web-da qualche mese è entrato in funzione un nuovo strumento più evoluto rispetto ai precedenti il suo nome è  Podio nato in Danimarca, ha già attirato l’attenzione delle grandi aziende come Twitter, BMW e Subway utilizzandolo per la gestione di progetti e dipendenti diventando così testimonial d’eccezione di questo nuovo strumento.
Le caratteristiche di Podio che hanno decretato il suo successo sono state la possibilità di:costruire team di lavoro, condividere documenti, lavorare su un progetto comune, creare un calendario con deadline e appuntamenti, iniziare e partecipare a discussioni e thread, creare e utilizzare app e utilities specificamente pensate per il mondo del lavoro e customizzabili ad hoc secondo le esigenze di ogni singolo utente.Inoltre sempre in tema di personalizzazione la piattaforma permette di creare dei profili personali simili a Linkedin e di accedervi tramite Pc e cellulari(per ora su Iphone ed Android) in modo da sfruttare e condividere al meglio i strumenti messi a disposizione da Podio.
Ad ulteriore conferma degli ottimi risultati che sta avendo questa piattaforma i suoi creatori stanno girando per il mondo per dei workshop dimostrativi,tra le città visitate c’è stata anche Milano.
Tra i competitor di Podio vi voglio segnalare una start up tutta italiana che si chiama Young Managers Go Up che vuole essere per gli utenti che lo utilizzeranno uno strumento online a metà tra un social network, una piattaforma digitale e una community, in modo da creare dei mini gruppi di lavoro per fare brainstorming e condividere idee e progetti, con l’obiettivo di innanzitutto costituire una rete di giovani talenti del marketing e del web (dopotutto il progetto è partito da Riccardo Pozzoli, il piccolo genietto del 2.0 dietro all’enorme fortuna del blog The Blonde Salad).
Quindi che dire….buon telelavoro 2.0!!!

Fonte:youngdigitallab.com

OTINO LA PALOMBARA
Copywriter & Digital Pr

giovedì 12 gennaio 2012

Toyota - L'applicazione del Just in Time: Kanban


Nell'ultimo articolo ho riportato un esempio di applicazione dei sistemi di gestione per la qualità e di come tali realtà siano diventati primati mondiali nel settore delle moto: Honda, Suzuki, Yamaha e Kawasaki.
Prima di entrare nel merito della trattazione ossia dell'applicazione del concetto di qualità nella realtà delle aziende italiane (per lo più medio- piccole), vorrei citare un ultimo esempio molto pertinente.
Oggi vorrei parlare di un'altra multinazionale giapponese: la Toyota. (Preciso di nuovo che non sono un fautore dei modelli giapponesi, le mie sono solo considerazioni sui modelli di produzione basati sulle procedure e sui controlli di qualità).
Negli  ultimi anni abbiamo assistito ad un testa a testa tra la General Motors e la Toyota in tema di vendite; nel 2007 è avvenuto lo storico sorpasso della casa giapponese su quella americana, che successivamente si sono susseguite e vicenda.
Il successo è dovuto proprio al modello produttivo della Toyota: il Just in time.
Questo modo di produrre è stato implementato per la prima volta negli anni 20 dalla  Ford Motor Company ed era definita «dock to factory floor», ossia "dalla banchina (di ricezione) direttamente sul pavimento del reparto di produzione", senza passare attraverso il magazzino.
Negli anni 50 il just in time divenne la filosofia di produzione della Toyota che  generò il Toyota Product System .
Il sistema di produzione Toyota si basa sull'assenza di magazzino.
Fino agli anni cinquanta, la logica che muoveva le produzioni industriali era la cosìdetta "Logica Push", ossia spingere i prodotti sul mercato e fare magazzino.
Con l'introduzione del Just in time la logica dominante, nella produzione, divenne quella pull, cioè è il mercato a richiedere le quantità di prodotto finito, quindi i sistemi produttivi, devono necessariamente produrre solo ciò che è richiesto. Il magazzino, nella logica pull, scompare.  
I giapponesi della Toyota, eliminarono le scorte della produzione e di prodotti finiti producendo solo ciò che veniva richiesto in un dato momento dal mercato.
L'applicazione specifica del Just in time nel mondo Toyota si chiama  "Kan Ban" che in giapponese significa "cartellino".  Questo  sistema di produzione a "logica pull"  permetteva di produrre senza giacenze in magazzino.
Il meccanismo è abbastanza semplice: il sistema produttivo, viene diviso in stazioni, in mezzo alle quali, si trovano  buffer di prodotti semilavorati. Pensiamo alla produzione di automobili, il prodotto finito è l'automobile stessa ed all'interno del sistema di produzione, tra una stazione e l'altra si trovano i pezzi semilavorati da assemblare.
Il kanban, indicante la tipologia del materiale usato per una lavorazione, è apposto su un contenitore che una volta vuotato viene rifornito. Il flusso, in tempo reale, dell'approvvigionamento, evita gli stock di magazzino e i costi derivanti.
Ipotizzando, un sistema produttivo molto semplificato, si potrebbe immaginare un layout composto da n. stazioni  ciascuna con un buffer a valle ed un buffer a monte. L'ultima stazione del sistema produttivo, a valle ha i suoi prodotti finiti, che nel caso Toyota, sempre rendendo tutto più semplificato, sono le automobili.
Immaginiamo che il sistema, composto dalle stazioni, dai buffer, dai macchinari, dal personale, si trovi al tempo zero dopo una lunga pausa ed  è pronto per iniziare a produrre.
L'ultima stazione, quindi, ha a valle il suo buffer composto da un certo numero di auto finite e perfettamente funzionanti; ipotizziamo che ci siano 10 auto.
A questo punto arriva un ordine da un concessionario che ha bisogno di 3 auto da vendere; dopo che il titolare del concessionario ha ritirato le sue 3 auto a valle dell'ultima stazione produttiva ne rimangono 7.
Il personale si accorge che nel buffer a valle mancano 3 auto e quindi avvia la produzione dell'ultima stazione per ripristinare la scorta di 10 auto. Per assemblare le 3 auto hanno bisogno di semilavorati che andranno a prelevare dal buffer della stazione a monte.
Il prelievo avviene con il seguente meccanismo, ogni stazione ha dei buffer a monte e a valle,  a monte ha dei contenitori vuoti ( di qualsiasi natura, carrelli vuoti, scatole etc.) attraverso il cartellino (Kan Ban ) ordina il numero di pezzi che occorrono per ripristinare il buffer a valle di 3 unità di auto.
L'ordine del numero di pezzi, quindi arriva alla stazione a monte dell'ultima che provvede ad inviare immediatamente i pezzi necessari all'ultima stazione. Il buffer della stazione quindi si è svuotato di certo numero  ed il personale della stazione avvia quindi la produzione per ripristinare il livello del buffer.
Esistono 3 tipi di cartellini kanban:
  • KANBAN DI PRODUZIONE: indica il numero di prodotti che devono essere approntati per rimpiazzare quanto ritirato dalle Spedizioni
  • KANBAN DI RITIRO: indica il numero di pezzi da rimuovere da una stazione a monte per fornire una a valle
  • KANBAN DI SEGNALAZIONE: indica il numero di pezzi che devono essere prodotti in una stazione a monte per rimpiazzare quanto ritirato da una stazione a valle
Nella figura seguente (che non si riferisce esattamente al settore automotive ma aiuta  a capire il sistema), possiamo vedere l'ultima stazione con a valle il reparto spedizioni, ed a monte due stazioni produttive (Fresatura e foratura).
Quando arrivano gli ordini che devono essere spediti, il personale del reparto spedizioni mette all'interno dei carrelli A e B (due prodotti distinti) i rispettivi cartellini (Kanban) che indicano esattamente le quantità che gli occorrono dall'ultima stazione.


 Fig. 1

L'ultima stazione produttiva (nella figura sottostante assemblaggio) inizia così a produrre per rimpiazzare le scorte mancanti. E' avvenuto uno scambio di carrelli tra il reparto spedizioni e l'ultima stazione assemblaggio, ma anche tra l'ultima stazione (assemblaggio) e le precedenti, (fresatura e foratura). Il tutto è ben visibile nella seguente figura:



 Fig. 2


Riassumendo quindi, il reparto spedizioni effettua la spedizione relativa all'ordine che gli è arrivato, ha inviato i carrelli vuoti contenenti i Kanban che recano le quantità da produrre. Il reparto spedizioni scambia i carrelli vuoti con quelli pieni dell'ultima stazione, la quale vedendo il proprio buffer a valle diminuire inizia a produrre per rimpiazzare le scorte mancanti.
L'ultima stazione a sua volta invia i suoi carrelli vuoti a monte (contenenti i cartellini con le quantità da produrre) ali due reparti che la precedono (fresatura e foratura) i quali inviano alla loro stazione a valle (Assemblaggio: ultima stazione) i carrelli contenti i loro prodotti semilavorati che occorrono per l'assemblaggio e quindi la produzione dei prodotti A e B.
Forse dopo tutta questa minuziosa descrizione potrebbe sorgere il dubbio sulla relazione tra sistema produttivo della Toyota e Sistemi di gestioni per la qualità.
Il dubbio è presto sciolto perchè l'esempio sopra citato rappresenta un fiore all'occhiello di sistema di gestione; un simile meccanismo può essere implementato solamente con una cultura della qualità ben diffusa in azienda.
Per produrre attraverso il sistema dei Kanban c'è bisogno di una conoscenza e di un pieno rispetto di tutti i manuali, in primis quello della qualità, ma soprattutto è necessario che tutto il personale agisca secondo quanto prescritto dalle procedure aziendale, e tenga traccia, di tutto ciò che avviene all'interno dell'organizzazione.
Riprenderemo quest'ultimo concetto nel prossimo articolo.

Ing. Ivan Di Natale
Obiettivo Qualità Consulting

I GRANDI SUCCESSI TECH & WEB DEL 2011!


Il 2011 non è stato un buon anno per quelle aziende che hanno deciso di dare poca importanza ai new media e alle nuove frontiere della tecnologia.
Abbiamo visto nascere società che hanno rivoluzionato completamente l’industria della fotocamera, le modalità di effettuare i pagamenti, il modo di comunicare e di trovare fondi per le proprie start-up.
Queste novità visti i risultati dei sondaggi effettuati tra novembre e dicembre 2011 hanno ricevuto un  gran consenso tra i consumatori, anche se come ogni cosa che è nuova ha dovuto affrontare delle barriere in entrata da parte di quelle aziende già presenti sul mercato e che cercano di difendere la loro quota di mercato.
Ecco nello specifico alcuni dei servizi innovativi che hanno riscosso più successo nel 2011:

1. FOTOCAMERE: La “mela” che avanza
L’iPhone 4 è la fotocamera più popolare su Flickr, e l’iPhone 4S è già al secondo posto fra icamera phone. Anche se l’iPhone 4 avesse la metà dello share, supererebbe un sacco di fotocamere point-and-shoot visto le sue caratteristiche tecniche ed il gran successo che sta avendo tra i consumer.
2. FUNDRAISING: i tradizionali round di finanziamento stanno scomparendo
Fred Wilson, un notissimo venture capitalist di New York, ha una grande ammirazione per Kickstarter, perché proprio grazie a questo nuovo servizio che  è riuscito a raccogliere soldi per aumetare il business della sua azienda riuscendo ad ottenere  liquidità per oltre 250.000 dollari.
Quindi fondamentalmente Kickstarter visti questi numeri rappresenta  sicuramente un ottimo strumento per lanciare un nuovo prodotto o servizio, fornendo agli imprenditori la liquidità necessaria senza dover rinunciare a quote della loro azienda. Questo perché si rivolge ad un pubblico di enthusiast(manager già presenti in altre aziende), e non di venture capitalist.
3. COLLABORAZIONE: anche le grandi aziende sono saltate sul carro della “social collaboration”
Facebook ha cambiato completamente il modo di comunicare tant’è che stanno prendendo sempre più piede anche nei business plan  delle grandi aziende statunitensi attraverso startup come Yammer, Huddle e Salesforce Chatter.
Un esempio per tutti è stato il valore di mercato attribuito a Box.net che ha superato i 500 milioni di dollari grazie a tutto il buzz generato dall’aggiunta di componenti social alle applicazioni di collaborazione aziendale.
Colossi come Microsoft, Cisco e Oracle sono rimasti al palo, e ora stanno cercando in tutti i modi di colmare il gap con le aziende social oriented  per evitare che i loro clienti fuggano in massa verso queste nuove startup.



4. PAGAMENTI: è arrivato il momento di buttare la carta di credito
Altro Servizi nato nel 2011 è stato Dwolla che permette di collegarsi  direttamente al vostro conto corrente per gestire i pagamenti, invece di utilizzare la “classica” carta di credito.
Square invece ha rilasciato un’applicazione che consente di pagare qualsiasi cosa, senza letteralmente toccare nulla. Bisogna  solo impostare la propria  Card Case sul proprio telefono ed una volta che si va a pagare il prodotto basta che il negozio sia affiliato a Square e la transazione avverrà  automaticamente (basta dire il tuo nome alla cassiera).

Fonte:blog.tagliaerbe.com


OTINO LA PALOMBARA

Copywriter & Digital Pr

mercoledì 11 gennaio 2012

UN NUOVO REALITY ITALIANO PARTE DA FERRARA.


MasterFashionReality, il nuovo stile italiano, sette concorrenti e 10mila euro in palio.

Si aprono ufficialmente i casting per il nuovo e frizzante reality italiano dedicato alla moda pret-a-porter, con una variante significativa: le concorrenti si daranno battaglia a colpi di formazione professionale, test, sfide, gare di abilità nel campo della moda, del trucco e del parrucco.
Sette concorrenti sette, con età compresa tra i 18 ed i 40 anni, si daranno battaglia per 3 settimane in uno splendido hotel 4 stelle della città estense che ospiterà il reality nella sua prima edizione.
Molte le differenze tra questo MFR e gli altri reality, ci spiega Luca Martini, producer: "...non si tratta di una specie di grande fratello, tutt'altro...le concorrenti saranno sottoposte ad una vera e propria formazione professionale di 3 settimane ed ogni giorno affronteranno una sfida diversa con le fashion house che metteranno a disposizione gli abiti per realizzare ogni fine settimana una sfilata personalizzata. Dovranno dimostrare la loro abilità e talento nel vestirsi e saper vestire le concorrenti, studiando e mettendosi a disposizione dei 3 giudici formatori che saranno inflessibili...una eliminata alla settimana ed una vincitrice...le altre non eliminate avranno ancora occasione di continuare...La vincitrice che arriverà al podio si aggiudicherà un premio del valore di 10.000 euro...", conclude Martini.
Un ricco premio ed una nuova sfida ogni giorno tra abiti, trucchi, parrucchieri, formatori, tutto questo costantemente ripreso dalle telecamere del reality e postato ogni giorno sul sito ufficiale; questa è la vera novità, un reality tutto sul web dove i navigatori della rete potranno anche dare consigli e vedere i tutorial realizzati dalle concorrenti.
Prestigiose ma segrete al momento le collaborazioni con la produzione, che porterà dei nomi importanti nel parterre dietro le quinte ed altrettanti ospiti Vip nelle tre serate di moda della gara. Il reality poi si sposterà nella versione estiva verso la riviera romagnola.
Si comincerà con il casting dal prossimo Cosmoprof di Bologna.
Il sito ufficiale per tutte le informazioni e iscrizioni è www.masterfashionreality.it.



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iCom ONP
Uff. Stampa e Comunicazione
0532.470561 - 392.9114000
www.icom-noprofit.it

martedì 10 gennaio 2012

Fare o Essere Comunicazione? Questo è il dilemma


Content is King. Il Contenuto è il Re. Questa la regola base per avere successo nella comunicazione contemporanea: produrre contenuti in grado di interessare i propri destinatari, ingaggiarli, renderli partecipi, farli diventare essi stesi emittenti dei nostri messaggi o spingerli a co-produrre contenuto. In una parola: coinvolgerli attivamente anziché lasciarli spettatori passivi
Ma quale impatto ha questo assunto sull’organizzazione aziendale? E come deve evolvere la comunicazione aziendale?
Produrre contenuti è un impegno serio e costante, e su questo fronte le aziende italiane mostrano un forte ritardo (come racconta una ricerca dell’Università di Udine). Ma troppo spesso si sottovaluta come l’azienda stessa sia un potente e continuo produttore di contenuti. Quali? certo i nuovi prodotti sono il contenuto più ovvio e raccontato; ma anche le storie di chi li ha creati, di come il prodotto si inserisca nella storia aziendale e nella continuità o, invece, segni una svolta e un cambiamento, le informazioni su come viene prodotto e le storie di chi lo produce, la rilevanza che l’azienda ha per le comunità locali sede degli stabilimenti e molto altro ancora sono contenuti di interesse per pubblici diversi, più o meno vasti, esterni o interni all’azienda. Già, perché non bisogna dimenticarsi che dipendenti, collaboratori e fornitori sono sempre, potenzialmente, i primi ambasciatori del marchio presso le rispettive comunità.
Tutto semplice allora? Non proprio. Cogliere questa opportunità significa essere in grado di modificare il proprio approccio alla comunicazione. Dal “fare” la comunicazione, l’azienda deve trasformarsi in “essere” comunicazione. Un’entità che, in tutte le sue parti, comunica verso l’esterno e verso l’interno coinvolgendo i diversi interlocutori con canali, contenuti e messaggi diversi.
Chi ha detto che un direttore di produzione non possa comunicare con i fornitori (o con l’ufficio acquisti), raccontando l’azienda dal suo punto di vista e scambiando esperienze, opinioni e informazioni utili al suo lavoro? o che un agente non possa abbandonare il copiacommissioni e portare i clienti sul sito dell’azienda (o accendere l’iPad per i più evoluti) e farli colloquiare con il responsabile del reparto Ricerca e Sviluppo (o con l’imprenditore) per capire meglio quali siano le esigenze reciproche? o perché un consumatore deve attendere l’uscita delle riviste per scoprire le nuove collezioni del marchio moda preferito invece di essere coinvolto direttamente nella sfilata?
Un salto culturale - dato che le tecnologie per farlo sono tutte e ampiamente disponibili – che richiede, innanzitutto, uno sguardo nuovo verso l’interno dell’azienda da parte di chi sovrintende alla comunicazione per trovare le storie, ma anche lo sviluppo di un approccio nuovo al rapporto cliente-fornitore (interno o esterno che sia) in un’ottica di scambio reciproco e un costante impegno a valorizzare i propri contenuti verso i clienti.
Un esempio di eccellenza viene da Burberry, lo storico marchio moda, che da qualche stagione ha radicalmente trasformato il suo modo di comunicare e sta guidando l’innovazione nel settore moda aprendosi a una platea planetaria di consumatori soprattutto attraverso i canali digitali e i social media.
Rompendo un tabù decennale che ha sempre visto i giornalisti moda come destinatari privilegiati della comunicazione, nelle ultime sfilate di settembre le uscite in passerella erano anticipate da tweet. Solo durante la mezz’ora di sfilata sono state oltre 50.000 le visite alla galleria fotografica dei look a cui rimandavano i tweet. Inoltre la sfilata, e anche il backstage e le interviste alle celebrity, è stata trasmessa integralmente in live streaming in HD sia sul canale facebook (9 milioni di fan a settembre) sia su quello YouTube con più di 20.000 iscritti e in 50 punti vendita nel mondo. Inoltre i fan potevano ospitare lo streaming nelle proprie bacheche, ampliando ulteriormente la platea.
La strada innovativa di Burberry viene però da lontano: è stato il primo marchio a trasformare la propria sfilata in uno show olografico in 3D a Pechino e a abilitare l’acquisto online di alcuni capi direttamente dallo streaming della sfilata.
Nel 2009 già lancia Art of the Trench, un microsito – collegato ad app sui principali Social Network – dedicato al capo simbolo del brand inglese. Qui gli utenti possono caricare le proprie foto e le storie che li legano all’impermeabile simbolo anche di personaggi cinematografici personalizzando la relazione con la marca e con il prodotto.
La tradizione (gli inglesi direbbero l’heritage) di una marca storica (ha recentemente festeggiato 155 anni) e dei suoi prodotti viene quindi costantemente attualizzata e personalizzata attraverso un uso della tecnologia non fine a se stesso, ma per creare relazione.
Alla guida di questa trasformazione, Christopher Bailey, il direttore creativo, che è impegnato direttamente nello sviluppo della comunicazione tanto quanto nella creazione delle collezioni. Una sinergia che la dice lunga su come prodotto, brand, attività, persone siano sempre più un tutt’uno comunicativo inscindibile. Su come non sia più possibile, per i CEO o gli imprenditori, demandare la comunicazione, ma debbano essi stessi iniziare a vedere tutto sotto la lente della comunicazione.
Questo richiede un impegno anche personale. Anche di questo Bailey è consapevole, tanto che posta regolarmente sulla pagina aziendale facebook e dialoga con gli utenti rispondendo alle loro domande e chiamandoli per nome. Un modo per abbattere le barriere e personalizzare l’azienda.
Burberry è citato come case history di successo anche nell’inchiesta Facebook Likes Fashion! recentemente pubblicata da Pambianco News che analizza il rapporto tra i marchi moda e il più popolare tra i Social Network. L’inchiesta cita il lancio del profumo Burberry Body, anticipato con una campagna facebook in cui, chi diventava fan della pagina, poteva richiedere un campione omaggio. Il risultato? 225.000 campioni richiesti in una settimana e aumento del 40% delle iscrizioni.
Parafrasando un celebre detto, si potrebbe quindi dire Content Matters, il Contenuto è Importante. E impatta sulle prestazioni digitali. La ricerca cita che la pagina Facebook di Burberry ci ha messo un anno per raggiungere quota 1 milione di fan, sei mesi per raddoppiare e 1 solo mese per arrivare a quota tre milioni. E da allora viaggia più o meno stabilmente al ritmo di 1 milione al mese tanto che a fine 2011 ha superato la boa dei 10 milioni.
Certo, direte voi, facile coinvolgere gli utenti se ti chiami Burberry o Victoria’s Secret e hai un brand moda forte. In realtà non è proprio così vero. A Los Angeles c’è una piccolissima impresa di fast food ambulante: niente più di due furgoni che vendono un particolare tipo di menù Coreano seguendo un itinerario di fermate. Il cibo è particolare e ha un suo seguito, una gruppo di veri e propri fan. L’idea brillante? usare Twitter per raggruppare ed espandere la community, informare in modo rapido, anche sul cellulare, sulle prossime fermate del furgone, sul menù del giorno e sulle offerte in modo da permettere, a chi fosse interessato, di raggiungere in tempo la fermata. L’idea ha riscosso successo e, ogni giorno, continua a portare persone che fanno la coda.
Chiudo con un aneddoto personale: qualche anno fa, quando ancora lavoravo in agenzia, approfittammo di un G7 a Firenze per far recapitare a Hillary e Chelsea Clinton, che accompagnavano l’allora Presidente Bill, alcuni prodotti di un cliente. Passa un mese e arriva in agenzia una lettera racchiusa in una busta intestata della Casa Bianca. L’apriamo con un po’ di meraviglia e, sorpresa, conteneva una lettera di ringraziamento per il regalo con firma autografa (chi può confutarlo in ogni caso? :-) di Hillary Clinton.
La morale? Non importa se sei un brand moda planetario, uno sconosciuto fast food ambulante coreano o la Casa Bianca. L’importante è essere consapevoli che ogni cosa che fai può avere interesse per il tuo pubblico, può lasciare un ricordo positivo, può farti guadagnare un cliente. E agire di conseguenza. Solo allora potrai dire di non “fare” comunicazione ma di “essere” comunicazione.

Dati registrati dal 15/04/2011