Oltre trent’anni di mistica della leadership e, per chi vive in azienda, centinaia di ore di corsi di formazione, ci hanno abituato a pensare che questa qualità sia fondamentale per il successo. I manager devono essere leader, leader si nasce o si diventa? e altri aforismi simili ci hanno fedelmente accompagnato mentre tutta l’attenzione veniva focalizzata sulla persona al comando.
Ma è ancora valido questo assioma? L’affondamento della Costa Concordia è solo il caso più recente di fallimento della leadership. Oggi, a guardarsi intorno, si fa veramente fatica a trovare leader di successo che reggano alla prova del tempo. Quasi nessun leader politico del G20 è riuscito a sopravvivere al primo mandato. Persino i più osannati – basti pensare a Obama – vengono rapidamente logorati. Anche i mega manager delle multinazionali cambiano spesso al ritmo delle porte girevoli dell’ingresso. D’altra parte numerosi imprenditori delle PMI – non potendo licenziare se stessi – portano le proprie imprese alla chiusura.
Quale scenario futuro ci aspetta? Quale modello di leadership possiamo ipotizzare?Potremo avere novelli JFK o Henri Ford o De Gasperi o Willy Brandt? O avremo bisogno di questo modello di leader? Quasi sicuramente no, perché il mondo è profondamente cambiato negli ultimi dieci anni.
Due sono i principali aspetti da considerare: la crescita esponenziale della complessità economica, politica, sociale e tecnologica e la democratizzazione della comunicazione garantita dalle tecnologie digitali.
La crescita della complessità, innescata dalla globalizzazione, ha moltiplicato le variabili togliendo qualsiasi certezza ai nessi di causalità: economie totalmente interconnesse, società più fluide e mobili, regole variabili a livello planetario aprono molteplicità di scelte impensabili fino a poco tempo fa. Per esempio, per le aziende italiane è più facile aprire stabilimenti dove il mercato del lavoro è più flessibile piuttosto che discutere sull’Art. 18 in Italia.
Ma la complessità, oltre alla moltiplicazione delle opportunità, ha portato anche la moltiplicazione delle incertezze. Se fino a venti o trent’anni fa un leader, politico o di azienda, poteva ragionevolmente padroneggiare le variabili chiave del proprio incarico, oggi è sempre più difficile. Per gestire un’azienda, grande o piccola che sia, non basta più conoscere il proprio prodotto e mercato ma occorre avere competenze di finanza, di tecnologia, di marketing e di molto altro.
Certo, le grandi aziende, come i governi, hanno – o dovrebbero avere – tutte queste competenze al proprio interno, ma è ancora il leader a plasmarne la strategia sulla base della propria visione, più o meno olistica e con modalità più o meno dirigiste. Il risultato è che, qualsiasi indicazione o consiglio viene comunque filtrato dal leader designato, che decide sulla base delle proprie competenze, esperienze e, fatto più importante, propensione al rischio e a seguire indicazioni di altri in territori che non conosce.
Il secondo aspetto rilevante è la democratizzazione della comunicazione consentito dalle tecnologie digitali e dai Social Network. Oggi il leader è nudo! Non ci sono più rendite di posizione o di status. Controllare e manipolare la comunicazione è diventato impossibile e l’approccio top down unidirezionale che ha creato e sostenuto molti leader nel passato non è più un modello replicabile. Le chiacchiere e le critiche, una volta limitate alla macchina del caffé, oggi hanno portata planetaria. Le primavere arabe hanno mostrato come anche stati in cui il controllo della comunicazione e dell’opinione era ritenuto ferreo, si sono sgretolati in poche settimane sulla spinta della libera circolazione delle informazioni.
L’autorevolezza – per tornare a un altro dei miti fondanti della leadership – non basta più. O meglio, il concetto di autorevolezza è diventato più articolato fino a includere anche etica, apertura al dialogo, capacità di ascolto, onestà, capacità di tenere fede alle promesse, trasparenza, umiltà. Essere leader autorevoli e mantenere questa autorevolezza nel tempo, oggi è estremamente più difficile di venti o trent’anni fa.
La rete ha cambiato i paradigmi sociali e organizzativi. Oggi i modelli vincenti sono quelli basati sulla collaborazione, sulla libera circolazione delle informazioni e sulle reti in cui non esiste un vero e proprio leader, bensì una leadership diffusa in cui le competenze e la credibilità acquisita determinano l’autorevolezza di una persona. In modo destrutturato e flessibile. Una stessa community può così avere più persone di riferimento a seconda delle necessità dei propri membri. E’ l’intelligenza collettiva espressa dalla community nel suo insieme a divenire l’elemento vincente. Sono le persone che dimostrano competenza, spirito di servizio e capacità relazionale a emergere come leader.
A dire il vero non è un modello nato con la Rete. Alcune società arcaiche, come i Boscimani, seguono da millenni questo schema: se la tribù deve andare a caccia, è la persona riconosciuta come più esperta a decidere come muoversi, ma se la tribù deve cercare l’acqua, sarà un’altra persona a guidarla, mentre lo spostamento del villaggio da un punto a un altro è gestito da un’altra persona ancora. Un modello vincente? Beh, i Boscimani esistono da migliaia di anni e non si sono estinti. Sembra un buon punto a favore.
Il concetto chiave, quindi, è divenuto quello della credibilità. Essere leader significa essere credibili, per la propria community di riferimento, rispetto al compito da svolgere. La credibilità, però, non necessariamente si estende a tutto lo scibile e altre persone saranno più credibili su altri compiti. Tante sfide da affrontare, tanti leader credibili per farlo. E’ una rivoluzione copernicana in cui le organizzazioni vincenti saranno sempre meno quelle che si affideranno a un leader globale e sempre più alla leadership diffusa, basata sulla credibilità dimostrata e riconosciuta. In grado quindi di attingere e ottimizzare l’intelligenza collettiva espressa dall’insieme.
Quindi come dovrà essere il leader del futuro? Non sarà più chi ha le risposte giuste, ma chi sa fare le domande giuste. Non più chi ha il know how, ma chi possiede il know who per capire quale sia la risorsa migliore da attivare e ascoltare a seconda del compito e degli obiettivi. Non più chi ha la voce più alta, ma chi ha le orecchie più aperte per cogliere segnali e suggerimenti.
La credibilità – sostituto dell’autorevolezza - deriverà sempre meno dall’ambito professionale e sempre più da quello relazionale, dalla capacità, quindi, non solo di mostrare competenza ma anche di fare da ponte, di connettere e facilitare e, soprattutto, di operare una sintesi efficace.
Il leader del futuro non sarà più una persona sola bensì una comunità di persone in grado di interagire a pari livello per identificare la soluzione più idonea, mettendo in campo le proprie competenze professionali e relazionali. Siamo pronti a questa sfida?
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